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    Lo stratega giapponese della battaglia di Singapore fu il tenente generale 
    Tomoyuki Yamashita (che si pronuncia Ya-mash-ta) al quale il 3 novembre 1941, 
    un mese prima di Pearl Harbour, l'ammiraglio Yamamoto aveva assegnato il compito 
    - con l'ordine del giorno nr.1 - di assumere il comando della 25^ Armata e, 
    con quella, di impadronirsi della Malacca e di Singapore.
    Yamashita, nato nel 1885, era figlio di un modesto medico di campagna. Spesso, 
    parlando ai suoi subordinati, diceva che non era stato lui a scegliere la 
    carriera militare. "L'idea è stata di mio padre" raccontava 
    "perché ero forte e grosso, e mia madre non si oppose seriamente 
    perché convinta (che il cielo benedica la sua anima) che non avrei 
    mai superato i difficilissimi esami di ammissione al corso allievi ufficiali".
    Invece Yamashita ci riuscì benissimo e nel 1926, appena trentunenne, 
    venne mandato in Europa come addetto militare all'ambasciata giapponese di 
    Vienna. Là si innamorò della cultura e della storia tedesca 
    e, negli anni che immediatamente seguirono, mostrò simpatia per l'affermarsi 
    del nazismo. Parecchi seguaci di Hitler (Kaltenbrunner, ad esempio, e Seyss-Inquart) 
    divennero suoi amici.
    Un generale "complessato"
    La guerra con la Cina, negli anni trenta, riportò Yamashita in patria 
    e nel 1936 ebbe un comando, col grado di tenente generale, ai confini della 
    Manciuria. I legami con gli amici nazisti, però, rimasero sempre vivi 
    e nel 1938 Hitler lo invitò a Berlino. Tornato a Tokio alla vigilia 
    della crisi di Pearl Harbour, Yamashita ebbe il grado di generale di corpo 
    d'armata e l'incarico di comandante supremo in Malesia. 
    Era un uomo corpulento, con un collo taurino e una grossa testa, aveva un 
    volto inespressivo e sembrava un uomo insensibile ma dentro covava profondi 
    risentimenti che sfioravano i livelli patologici. Yamashita era convinto ad 
    esempio che la sua recente promozione fosse stata ritardata per anni perché, 
    nel lontano 1929, aveva appoggiato il piano del generale Kazushige Ugaki (poi 
    designato, nel '37, a succedere come capo di Gabinetto a Hirota) per ridurre 
    l'esercito di parecchie divisioni.
    Nel 1941, proprio nei giorni dell'offensiva su Singapore, le ossessioni di 
    Yamashita cominciavano a dare nella paranoia e farneticava con i suoi ufficiali 
    dicendo ora che Tojo aveva deciso di farlo assassinare non appena fosse caduta 
    la Malacca, ora che il feldmaresciallo conte Hisaichi Terauchigli lesinava 
    di proposito l'appoggio aereo (e nel suo diario, in quelle settimane, scrisse: 
    "E' un vero delitto che in Giappone agli alti posti di comando non vi 
    sia nessun elemento di cui ci si possa fidare" e "Quel maledetto 
    Terauchi vive nel lusso a Saigon, dorme in un letto confortevole, mangia buoni 
    piatti e gioca a shogì").
    Un cavallo di troia "orientale"
    Il complesso di persecuzione giunse in Yamashita al limite estremo il 23 gennaio 
    1941 quando il capo di Stato Maggiore di Terauchi arrivò da Saigon 
    con un fascio di appunti su come conquistare Singapore. Il generale lacerò 
    con violenza tutti i fogli e annotò nel fido diario: "Se esistono 
    due modi per fare una cosa, sii certo che l'Armata Meridionale sceglierà 
    quello sbagliato". Anche se poi risultò vincitore, sia pure grazie 
    a un certo margine di fortuna, non si può dire che Yamashita fosse 
    un grande stratega; acconsentì, ad esempio, che - dopo lo sbarco a 
    Singora, Pattani e Kota Bahru, l'8 dicembre 1941 - uno dei suoi ufficiali, 
    il colonnello Tsuij, tentasse di occupare la neutrale Thailandia con una folle 
    trovata degna di un cavallo di Troia (mille soldati giapponesi, in abiti civili, 
    avrebbero raccolto altrettante ragazze nei caffè e nelle sale da ballo 
    di Singora, poi, requisiti venti o trenta autobus, si sarebbero diretti alla 
    frontiera con la Thailandia. Agitando bandiere thailandesi con una mano e 
    britanniche con l'altra, avrebbero gridato in inglese "Il soldato giapponese 
    fa schifo!" e "Viva l'Inghilterra". Nella confusione che ne 
    sarebbe seguita, Tsuij era sicuro che le guardie di frontiera avrebbero lasciato 
    entrare in Thailandia i suoi soldati).
    La conquista di Singapore fu, per Yamashita, abbastanza facile sebbene le 
    forse inglesi, valutate in un primo tempo non superiori ai 30.000 uomini, 
    risultarono poi di ben 85.000. Nell'isola, il generale giapponese stabilì 
    il proprio quartiere nel Palazzo Verde, magnifico edificio costruito dal sultano 
    di Yohore su una grande collina; non avrebbe potuto scegliere un punto più 
    in vista e quindi vulnerabile ma, come confidò ai suoi ufficiali, era 
    sicuro che gli inglesi non avrebbero mai osato bombardare un così magnifico 
    complesso.
     Condannato 
    a morte per impiccagione
Condannato 
    a morte per impiccagione
    Alla vigilia dell'attacco finale il generale Yamashita radunò i comandanti 
    delle sue quaranta divisioni in una piantagione di caucciù e, rosso 
    in viso, lesse gli ordini di attacco. Nella gavetta di ciascuno venne versato 
    il kikumasume (il vino delle cerimonie) e tutti fecero il brindisi tradizionale: 
    "E' un bel posto per morire, vinceremo certamente".
    Dopo la resa di Singapore, Yamashita ebbe il comando generale delle armate 
    della Manciuria. Là rimase fino alla metà del 1944 quando, dinanzi 
    alla riconquista di MacArthur, l'Alto Comando Imperiale gli affidò 
    il compito di respingere l'assalto americano alle Filippine; a Luzon la resistenza 
    di Yamashita raggiunse punte incredibili col sacrificio di 65.000 dei 70.000 
    soldati impiegati nell'isola.
    Alla fine della guerra, arrestato e sottoposto a processo, Yamashita venne 
    accusato delle atrocità commesse dall'esercito giapponese nelle Filippine. 
    Al termine del dibattito, svoltosi a Manila il 29 ottobre 1945, Yamashita 
    fu condannato a morte per impiccagione. Il presidente Truman respinse la domanda 
    di grazia e l'esecuzione avvenne il 23 febbraio 1946 a Los Banos, un centro 
    a una cinquantina di chilometri da Manila. Un istante prima di precipitare 
    nella botola, Yamashita disse: "Pregherò per la lunga vita dell'Imperatore 
    e per la sua prosperità eterna". L'avvocato difensore di Yamashita, 
    il capitano americano Adolf Reel jr., criticò la sentenza dicendo: 
    "Siamo stati ingiusti, ipocriti e vendicativi".
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